LA STATUA DI GIADA




Rotolò di lato sull'unico posto libero e rimase a braccia conserte, rosso in volto, chiedendo ripetutamente scusa. Terminando i brontolii, quella cominciò a raccontargli d’un marito sempre lento e secco da fare paura e che andava a trovare una sorella, che stava in un paese sulla collina, che non era molto distante dalla città, che lei trovava sempre troppo affollata e che lì nel paese della sorella c’erano solo sette case e pochi contadini e che...     
Il signor Zhenlong la guardava atterrito e rattrappito nel suo sedile non osando né rispondere né frenare quel diluvio di parole. L’autista guidava adesso tranquillo inerpicandosi per i tornanti d’una strada asfaltata che presto divenne sassosa. La città laggiù si sgonfiava sempre più, fino a diventare una specie di mappa in miniatura; poi scomparve. La strada era adesso un tunnel ombroso tra querce e lecci, sempre più alti e sempre più fitti fino a coprire il cielo con un intrico verde e blu. Dopo un paio d’ore, sbucarono in una piazzetta con una fontana accerchiata da sette palazzi di mattoni rosa. L’autista frenò e la chiacchierona discese con tutti gli altri, ancora farfugliando strani mugugni. L’autobus ripartì fragorosamente e il signor Zhenlong sospirando si ammorbidì sul sedile concedendosi uno sguardo intorno. In fondo, vide il viso morbido e pensieroso di una fanciulla, seduta accanto al finestrino; i capelli, castani e corti, un cespuglio di riccioli minuti. L’autobus si era fermato al bordo di un prato senza neanche un fiore e l’autista era sparito. Nel silenzio discese seguito dalla strana fanciulla, che si dirigeva verso il fiume velocemente; la inseguì come incantato. Quella si tuffò tra i flutti e si trasformò in un pesce dalle squame blu. Zhenlong spiccò un balzo e la raggiunse attraverso gli umidi vapori dell’aria. Volava maestoso, un’aquila dalle larghe ali variopinte e leggere, ali di immensa farfalla dal corpo di rapace. Si avventò sul pesce e lo afferrò con i rostri adunchi poi delicatamente lo posò sulla riva opposta del fiume spumeggiante. Rotolarono abbracciati sul prato verde blu. Sulle colline vicine due palazzi rossi e bianchi spiccavano maestosi: poderose scalinate portavano alle porte spalancate, sulle torri sventolavano drappi grigi. Dai balconi traboccavano felci e rose e glicini profumati.
Tenendosi stretti per mano raggiunsero una scalinata e raccolsero un piccolo tamburo di latta seminascosto da fitti cespugli di capperi. Danzando al ritmo del tamburo, che nessuno batteva, salirono i trentadue larghi scalini di pietra  ed entrarono nella prima stanza del palazzo.

La zucca seccata

Undici fiaccole, spumeggianti fiamme verdi e rosse, circondavano una statua di giada trasparente leggera come l’acqua e fluttuante sul pavimento di marmi candidi, un mare di grilli e cicale intonarono il loro canto stridente alla dea dal volto sereno e immutabile. Qualcosa di strano vibrava intorno alle alte finestre a vetrate multicolori. Storditi da tanto clamore i due, indietreggiando, cercarono la porta per fuggire. Un cancello di ferro rugginoso, precipitando dall'alto, con un boato spaventoso chiuse l'uscita.-Come osate rimanere in questo luogo sacro!- esile e acuta la voce della dea ferì le orecchie dei due, che adesso si tenevano stretti uno all'altra, schiacciati contro il cancello. Dalle vetrate, che si erano spalancate, un fiume di mantidi sciamò lentamente, mandibole scattanti pronte a divorare. Una lacrima dal viso della fanciulla, ormai convinta di morire, rotolò sul tamburo di latta , stretto tra le dita della mano destra. Il flebile suono sembrò rallentare il volo dei verdi insetti dalle zampe racchiuse in preghiera.
L’occhio sinistro della dea brillò per un istante, le sue braccia si sciolsero e con le  corte gambe  iniziò una danza nell'aria fuligginosa.
Cantava la dea
-Zucca zucca, zucca seccata / dal sole d’autunno, rimani celata / per chi ti ritrova, salvezza donata !-.
-Crì-crì-crì / crì-crì-crì- suonavano grilli e cicale, senza interruzione.
-Iìh- iìh- iìh / iìh- iìh- iìh- rispondevano le mantidi con sospiri allungati.
Sul muro dietro alla statua si spaccò un'apertura su un giardino di aranci e i due vi si precipitarono desiderosi di salvarsi. La dea continuava la sua danza di marionetta.

Il viale della palme


Il giardino continuava in un fitto intrico di alberelli e cespugli , cardi selvatici e ortiche; vi si buttarono a capofitto correndo e graffiandosi i visi pallidi e sudati. Sbucarono in un viale di terra battuta fiancheggiato da filari di palme altissime. Sentirono un ridacchiare indispettito e tossicchiante. Seminascosta dal tronco grigio di una vecchia palma, la zucca camusa, gialla e rossa, li salutò con un tono acuto e nasale.

“Benvenuti nel mio giardino, pupazzi umani, siete destinati a finire lessati nella mia zuppa di datteri e ortiche, ho una gran fame quest’oggi” Intorno alla zucca erano d’improvviso apparsi sette corvi albini col becco arancione, che sollevarono con le ali la grossa zucca e faticosamente la portarono zampettando verso il fondo del viale. I due seguivano il corteo incantati dalla cantilena della zucca e il coro dei corvi. “Vecchia è la zuppa/ che bolle e ribolle/ mancate voi soli/ e quattro cipolle” borbottava la zucca incartapecorita dal naso schiacciato. “Crà crà crà / crà crà crà / la pentola bolle / e vi cuocerà” rispondevano in coro le bianche cornacchie.


Il secondo  palazzo
Il viale portava ad un cortile ampio e piastrellato di antiche ceramiche corrose. Ora erano tutti dentro il secondo palazzo. Dalle rose rampicanti abbarbicate fino ai loggiati più alti, discesero diciassette folletti con i cappelli a punta, e da un portone un carrettino colmo di carote e sedani rotolò sobbalzando fino al rogo che ardeva sotto al pentolone di rame colmo d’acqua e rane. Tre dame forzute spaccarono a metà gli ortaggi con coltelli scintillanti e li scagliarono nel brodo in cui le rane galleggiavano spappolandosi. Zhenlong e la fanciulla furono spogliati dai folletti e spinti a salite la scaletta di bronzo che finiva sul bordo del pentolone. I pioli dorati scottavano lambiti dalle fiamme e i due si trovarono ben presto a nuotare tra carote e sedani e zucchine. Il cortile si riempì di strani animali affamati coi denti affilati. La temperatura cresceva rapidamente e il respiro si faceva più affannoso quando la zucca si spaccò e una colonna di ghiaccio trasparente uscì dal suo centro esatto. Un vento gelido turbinò intorno e sollevò la colonna di ghiaccio tuffandola nella brodaglia infernale. Una nube fatata sfiorò le onde ribollenti e tredici mani afferrarono i malcapitati liberandoli dalla tortura. Avvolti dalla nube furono trasportati dentro al palazzo in una stanza nuziale dove li attendeva un morbido ed enorme mucchio di bianchissime piume di cigno.Nel castello magico vissero una vita lunga e felice.


G.D.